Sorprendente. Non c’è altro aggettivo che possa cogliere,
descrivere, riassumere la musica di questo disco. E di
questa band, Woodstore, che si affaccia alla ribalta
internazionale con un progetto di assoluto prestigio.
Vengono dalla Sardegna – una delle regioni più belle del
Mediterraneo -, e la Sardegna è un’isola, con radicate e
forti tradizioni culturali, artistiche e musicali. Ma i
musicisti del Woodstore, invece che rintanarsi nel
rassicurante microcosmo costituito dalla propria terra
hanno, da sempre, inseguito, cercato – e finalmente
trovato – un linguaggio universale, in grado di
dialogare con l’intorno e con l’esterno, capace di
istituire profonde relazioni concettuali con
quell’espressività globale, con quell’estetica e con
quella poetica che chiamiamo jazz.
Il Woodstore – il gruppo prende il nome dal laboratorio
artigianale, una falegnameria, dove furono tenute le
prime prove, e dove il progetto prese forma e
consistenza – rappresenta allora un momento del tutto
nuovo nel panorama jazzistico internazionale. L’apertura
di compasso dell’estensione linguistica, la perizia e la
cura nell’allestimento narrativo, l’articolata e
puntuale dialettica tra scrittura e improvvisazione,
l’emozionante contrasto tra cantabilità dei temi e
complessità delle progressioni armoniche, la vivacità
degli apporti improvvisativi, la solida e interconnessa
tessitura d’insieme (un vero e proprio piccolo miracolo
di equilibrio polifonico), la capacità di alternare
figura e sfondo nelle campiture cromatiche,
l’infallibile senso architettonico delle composizioni:
tutto questo, è molto altro, è il marchio di fabbrica
del Woodstore.
Un gruppo aperto – nel senso della costante ricerca di
un dialogo interno/esterno con altre voci, altre idee –
il cui nucleo è costituito da Mariano Tedde, autore di
tutte le musiche, e pianista dal tocco cristallino e
formidabile accompagnatore (una dote, purtroppo, assai
rara nel jazz di oggi); Massimo Carboni, tenorista dal
linguaggio modernissimo, e dal timbro caldo e rotondo,
il cui approccio, di derivazione michaelbreckeriana, si
stacca da ogni modello plausibile per quel suo
sorprendente uso dei silenzi; Paolo Spanu, infallibile e
agilissimo time-keeper; e Gianni Filindeu, batterista
antologico e futuribile, nel cui stile coabitano, senza
alcuna forzatura, decenni di storia della batteria jazz
frullati e centrifugati in un linguaggio personalissimo
e originale.
Formazione aperta, dicevamo, perché attorno a questo
nucleo il Woodstore costruisce repliche e versioni
alternative della sua musica ospitando – e dunque
misurandosi, fino all’ultimo respiro –una serie di
artisti dalla più varia estrazione. Come, ad esempio, la
vocalist extraordinarie Maria Pia De Vito, o Tim Hagans,
che con la sua incontornabile tromba, permette al gruppo
di recuperare uan porzione di registro acuto al suono
complessivo. Hagans – musicista di straordinario talento
– aggiunge alla discorso musicale il suo sapere obliquo,
la profondità delle sue soluzioni melodiche, gli spigoli
e i bordi di un solismo imprevedibile, mentre Maria Pia
De Vito rende evidenti, ascoltabili, inevitabili i
profili fortemente melodici ed evocativi di un progetto
compiuto, maturo, originale, inatteso.
Sorprendente, appunto.
Vincenzo
Martorella
(Critico musicale, storico del jazz, direttore della
rivista Jazzit)
When I listen to music, I know that I like it when two
things happen. One, that it will make me want to play and,
two, that it will make me want to hear it again.
This record does both. It makes me feel like I would enjoy
playing the set of music with the band and it makes me
want to listen to it again; to try to figure out what was
going on....I hope that it touches me intellectually and
spiritually. The music and the musicians on this recording
pay respect to the tradition without being derivative.
I go back with Tim a long way. He was the first guy I
heard play live when I moved to NY. I remember thinking to
myself "these guys are serious over here". When I listen
to him play, I hear the history of the trumpet interpreted
through a highly individual voice. It’s always exciting
and inspiring and the rest of the band rises to the
occasion. The music is inspired and inspiring.
Rick Margitza
(Jazz saxophonist and composer)
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